Nella concezione comune, si tende ad opporre ciò che è sacro a ciò che non lo è. Le due cose sono concepite come separate associando spesso erroneamente “sacro” alla sola sfera religiosa e “profano” ad una brutta parola o a qualcosa di trasgressivo (a seconda del proprio sentire a riguardo)! Cerchiamo qui di fare chiarezza e scendiamo in profondità andando ad esplorare questi due concetti di cui si fa tanta confusione.

Effettivamente le origini della parola “sacro”, sia in ebraico (QADOSH) che in arabo (HEREM), che in greco (HIEROS che è racchiuso nel TEMENOS) che in latino (TEMPLUM) si riferiscono ad una separazione spaziale, fisica, a un luogo individuato che si manifesta come diverso da ciò che gli sta intorno, a parte, separato da ciò che è impuro, profano. E’ altro e l’altro, per gli antichi, è Dio. In quel recinto in cui viene iscritto il tempio, l’Altro si concentra, si manifesta. In quello spazio delimitato avviene la mediazione tra Dio e l’uomo. Quel luogo è dunque consacrato, dichiarato sacro: santo. Questa bipartizione pone l’essere umano davanti a ciò che è altro da lui e dai suoi simili, lo mette alla presenza di Dio. Da questo ne deriva che “profano” (pro=avanti, fanum=tempio, luogo sacro) è quindi, letteralmente, “tutto ciò che sta davanti, fuori dal tempio”, tutto ciò che sacro non è.

La parola “sacro” ha però in sé origini indoeuropee (sac) e deriva da SACER, che ha la stessa radice di “sancire”, determinare. Per cui si ritorna all’idea principalmente greca del “temenos”, ovvero del limite, dello spazio circoscritto. Il sacro, dunque, è ciò che è stato sancito (stessa radice sac) mentre il santo rivela, in quanto suo participio passato, qualcosa che “è stato dichiarato sacro”.

 

Detto questo, possiamo spingerci un po’ oltre ed arrivare al concetto del corpo come “tempio dello spirito” (di cui, effettivamente, si parla nei Vangeli ma non solo). Proviamo a traslare quanto detto sulla parola templum (sul fatto che sia il luogo delimitato, privilegiato, in cui il sacro si manifesta, il luogo di incontro tra umano e divino), al nostro corpo.

Sacro non è solo, quindi, il tempio fisico, il luogo di culto o l’immagine religiosa! L’uomo è sacro! E, allargando quel concetto fisico-spaziale di limite, quel corpo è un mistero! Si, perché anche in lui c’è qualcosa che “è altro”, che non si vede, qualcosa di inspiegabile.

Leopardi nella sua celebre poesia “L’infinito”, parla in altri termini di questa dinamica sacro-profano.

 

Sempre caro mi fu quest’ermo colle, 

E questa siepe, che da tanta parte 

Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude

Ma sedendo e mirando, interminati 

Spazi di là da quella, e sovrumani 

Silenzi, e profondissima quiete 

Io nel pensier mi fingo; ove per poco 

Il cor non si spaura. E come il vento 

Odo stormir tra queste piante, io quello 

Infinito silenzio a questa voce 

Vo comparando: e mi sovvien l’eterno

E le morte stagioni, e la presente 

E viva, e il suon di lei. Così tra questa 

Immensità s’annega il pensier mio: 

E il naufragar m’è dolce in questo mare.

 

Ecco, ciò che dice il poeta è che se su quel colle fisicamente distante da tutto, separato (da Herem= eremo, eremita, ermo) non ci fosse quel limite invalicabile della siepe da cui sporgersi, non ci potrebbe nemmeno essere quell’oltre (“l’ultimo orizzonte” escluso allo sguardo) e l’eterno, l’immenso, sarebbe precluso… L’immaginazione non sarebbe stimolata ad andare oltre, verso quell’Infinito che, d’altronde, da il titolo a questa poesia. Il sacro è ciò che è oltre quella siepe, che è altro, il profano è ciò che invece sta davanti a questa, ciò che vedo.

E arriviamo dunque ora, per non confonderci più, alla domanda: che cos’è l’Arte Sacra? Sacra è tutta quella produzione dell’ingegno umano in cui si respirano il limite e l’oltre. E’ l’artista che plasma il finito per esprimere ciò che lo supera, quella cosa “altra” che sente sia dentro di lui (dentro il suo corpo-limite), sia dentro a tutto ciò che egli vede e che di finito sta fuori di lui.