Dalla mia esperienza di guida museale e formatrice ho avuto a che fare con tantissime persone che vedevo stare di fronte alle opere con interesse o superficialità, ma in entrambi i casi notavo un denominatore comune: quello che chiamerebbero in psicologia “sentimento di inferiorità”. In questa materia, il sentimento di inferiorità si verifica in una persona che si trova davanti ad una scelta o di fronte a situazioni complesse e si sente incapace di risolvere quel problema, di affrontare quella contingenza. Quel senso di inferiorità genera allora inquietudine e instabilità emozionale. La reazione è spesso dirsi “non sono capace”. Si è inibiti nel reagire, insicuri, e si cerca il sostegno morale dell’altro che diventa spesso, per i nostri occhi, quello a cui affidiamo la soluzione del nostro caso perché riteniamo “lo sappia meglio di noi” e quello da cui cerchiamo approvazione. Talvolta questo sentimento è così radicato in una persona che si può trasformare in un complesso. Che dire dunque ancora a riguardo? E cosa può centrare tutto questo con la lettura di un’immagine artistica? Anzitutto direi che, di fronte all’imprevedibilità della vita, è anche sano sentirsi non sempre all’altezza! Credo però serva rinforzare l’immagine di sé, smascherarsi tabù, riconoscere anzitutto la presenza in noi di un conflitto tra l’istinto, l’intuito, e le remore e i condizionamenti interni/esterni che abbiamo. Quello che ci diciamo o raccontiamo, insomma, per diverse ragioni e che si è fissato profondamente con il tempo in noi inficiando, in maniera più o meno inconsapevole, le nostre azioni quotidiane. Nel turista o nella persona che segue i miei corsi noto due tipi di atteggiamento: quello della persona di cultura o dell’appassionato d’arte senza una formazione specifica che viene per ascoltare, per assorbire più informazioni su un determinato argomento e che prova piacere in questo. Oppure quello del “turista per caso”, come dico io, che si ritrova nel gruppo, ascolta interessato o distrattamente e che, ancora una volta, pende dalla labbra della guida che “sbrodola” tutto quello che ha studiato e che l’ha appassionata/o.
Ecco, ad un certo punto, dopo anni ed anni di esperienza di questo genere mi sono chiesta che cosa rimanesse a queste persone di ciò che avevo detto loro. Mettevo passione, preparazione, simpatia, cercavo di spiegare il mondo complesso dietro l’opera in modo semplice, così da arrivare al cuore delle persone che incontravo, più o meno “alfabetizzate d’arte”. La mia sfida a riguardo, a dire il vero, iniziò proprio nel periodo universitario.
Ecco, quello che mi ha regalato l’arte contemporanea, spesso bistrattata, è stato proprio l’occhio del rispetto espressivo poiché quell’opera che potrebbe non arrivarmi subito al cuore, parla invece anche di me, dell’uomo di ora, della società in cui vivo. E sapere questo mi è utile perché mi dà degli indizi per leggerla e capirla questa realtà! Ma anche per leggermi e capirmi dentro. Leggere e capire gli altri. Ed ecco allora che nacque in me l’esigenza di rendere più semplice un discorso complesso come quello sull’arte contemporanea. E questo poi si estese a tutta l’arte, con i codici propri di ogni epoca. Volevo fornire ai visitatori o ai miei allievi degli strumenti, un contesto, perché loro stessi potessero leggerla e quindi goderla superando l’iniziale, fastidioso, pregiudizio di quel “non sono capace” che nasceva dal quel “sentimento di inferiorità” di cui parlavo all’inizio.
E qui nasce la mia ricerca a trovare sempre nuovi linguaggi e strategie che rendano il più possibile autonome e a loro agio le persone nella lettura di un’opera. Meno spaventati, più aperti ad apprendere. Ho scelto quindi, per i miei corsi, di dare sempre meno informazioni e sempre più strumenti che generino una costruzione della conoscenza, innescando curiosità e una spontanea ricerca delle informazioni. Questo così va gradualmente ad aumentare la fiducia in sé stessi, nel proprio occhio, nel modo di raccogliere informazioni e interpretare l’opera e la realtà incoraggiando il pensiero critico e divergente. Aiuta a staccarsi dalla ricerca dell’approvazione esterna per immergersi completamente, senza sentirsi impauriti e insicuri, di fronte ad un’opera d’arte, irresistibile ed emozionate, complessa o apparentemente banale. E quest’immersione ognuno la fa a suo modo perché i singoli elementi fanno eco diversamente in ognuno, a seconda della propria sensibilità, esperienza, provenienza. Per questo ogni punto di vista rimane rispettabile e intelligente (da intus–legere, leggere dentro le cose, in profondità o inter–legere, leggere tra le cose, fare connessioni tra i vari aspetti della realtà).
Nel mio corso di Lettura di opere d’arte, dunque, approfondiamo questi strumenti. Oltre alle Visual Thinking Strategies (che tratterò in maniera più specifica in un prossimo articolo e di cui già potete trovare un’introduzione sul mio sito nella sezione “Approccio”), vi svelerò qui quanto insegnato nei suoi scritti da un colosso della Storia dell’arte: Erwin Panofsky. Nel suo libro “Studi di Iconologia”¹, lo storico dell’arte introduce la spiegazione sui livelli di lettura di un’opera d’arte attraverso un fatto. Immaginiamoci, dice, che un conoscente per strada ci saluti togliendosi il cappello. In questa situazione troviamo un oggetto preciso (il signore e dunque una forma) e un evento (il togliersi il cappello, a cui si può dare un significato in base alla nostra esperienza pratica, in rapporto all’azione). In una prima lettura (che Panofsky chiama Preiconografica) andrebbero osservate le forme, lo spazio, i colori, le azioni in modo neutro. Quel mio conoscente non sarà dunque “Mario”, ma un signore che, per strada, alza con la sua mano destra un oggetto sopra la testa che identifico come cappello.
Nella lettura iconografica io riconosco che quel signore è Mario e che, dall’altra parte della strada, alzando il cappello, mi sta salutando da lontano. Nella lettura iconologica, faccio una sintesi di tutte le mie conoscenze: mi informo, moltiplico e integro diversi piani di lettura (culturale, storico, di costume, filosofico…). Riconosco, dunque, che nella società occidentale, quel gesto è un saluto, che Mario è di buon umore oggi, che è vestito bene perché è di buona classe sociale e che è una persona gentile. Se lo stesso soggetto fosse però inserito in un altro contesto non avremmo i punti di riferimento per interpretarlo in modo corretto o gli daremo un’altra lettura. Per un aborigeno australiano o un greco antico sarebbe infatti impossibile decifrare quel gesto come un evento pratico, con certe connotazioni espressive, considerandolo anche un atto di cortesia.
Ecco allora un primo modo di affrontare un’opera d’arte: provare ad osservarla inizialmente descrivendo solamente le forme esterne che vedo. Questo è un ottimo esercizio per staccarci dalla velocità di interpretazione (e giudizio!) che quotidianamente esercitiamo e che spesso ci svia dalla verità dei fatti. Dobbiamo rallentare. Prenderci il tempo per osservare. E questa è una prima lezione che l’arte ci regala per la vita, se consideriamo la realtà in cui siamo immersi come la nostra maggior opera da osservare, capire, interpretare. Leggere l’arte per leggersi dentro, dunque, o per leggere attorno a noi e fare connessioni… Provare per credere. Fate questo esercizio!
E, se vi è piaciuto, seguitemi per altre pillole…
¹ Erwin Panofsky, Studi di iconologia. I temi umanistici nell’arte del Rinascimento, Torino 1975